Un’iscrizione ebraica dell’età di Davide

Nello scavo di una fortezza alla frontiera tra il regno d’Israele e quello dei filistei, gli archeologi hanno scoperto la più antica iscrizione ebraica mai ritrovata.

Ha destato emozione in Israele la scoperta di un coccio ricurvo (ostraca), materiale usato frequentemente nell’antichità per scrivere brevi lettere o messaggi, su cui 3.000 anni fa qualcuno tracciò con l’inchiostro alcune righe in lingua “proto-cananea”, la stessa da cui discende l’ebraico.

Il frammento di vasellame (cm.15x15) che riporta l’iscrizione sarebbe, secondo gli esperti, la più antica testimonianza sulla lingua ebraica giunta fino a noi, che precede la più antica finora conosciuta di almeno 100-200 anni. Ad accrescere l’interesse, il fatto che il reperto è stato trovato all’interno della fortezza di Elah, nell’omonima vallata a sud-ovest di Gerusalemme, dove secondo la Bibbia si affrontarono il giovane Davide, futuro re di Israele, e il guerriero filisteo Golia (cfr. 1 Samuele 17:2-3).

La fortezza di Elah, ma i beduini chiamano la località “Khirbet Daudi”, rovine di Davide, era un tempo la frontiera tra gli israeliti che abitavano sulle colline e i loro nemici, i filistei della costa, ed era protetta da mura lunghe 700 m. e larghe 4 m., i cui resti sono tornati alla luce durante gli scavi. Finora è stato scavato però solo il 4% dell’insediamento. Le cinque righe di caratteri sbiaditi di tremila anni fa e le rovine dell’insediamento fortificato dove sono state trovate indicano che al tempo del re Davide esisteva già un potente regno ebraico.

L’analisi degli altri reperti trovati nello stesso strato del sito ha permesso agli archeologi di datare il coccio tra il 1000 e il 975 a.C., lo stesso periodo dell’età d’oro del governo di Davide a Gerusalemme. Dopo un primo esame, gli studiosi suggeriscono che il coccio possa essere parte di una lettera. I filologi stanno cercando di tradurlo, ma è un lavoro che richiederà mesi. Attualmente sono state identificate con certezza soltanto poche parole: re (melech), giudice (shofet), schiavo (eved).

La scoperta è già al centro della consueta discussione su quanto gli eventi e la geografia narrati nella Bibbia siano attendibili. Questa scoperta dimostrerebbe che l’insediamento – una città fortificata con una porta monumentale larga 9 metri, una fortezza centrale e mura di 700 metri di circonferenza – era probabilmente abitato da israeliti.

Il fatto avvalorerebbe la tesi dell’accuratezza della narrazione dell’Antico Testamento, perché dimostrerebbe che gli israeliti registravano gli avvenimenti proprio mentre accadevano. Questo smonterebbe anche le tesi scettiche di quegli studiosi che ritengono esagerato il racconto della Bibbia sull’importanza del re Davide e del suo regno, asserendo che si doveva trattare essenzialmente di un mito, anche se con qualche elemento di realtà storica. Finora l’archeologia ha trovato solo pochi reperti del tempo di Davide e per questo gli scettici considerano il suo regno poco più di un piccolo possedimento o addirittura come se non fosse mai esistito.

La costruzione delle fortificazioni ritrovate, invece, dimostra che soltanto un regno organizzato come quello che la Bibbia attribuisce a Davide poteva compiere un’impresa così grande, non certo l’iniziativa locale delle 500 persone che vivevano in loco: la costruzione dei muri avrebbe richiesto lo spostamento di 200.000 tonnellate di pietra.

 

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