Appunti di Teologia Stampa

Il Presbitero-congregazionalismo

Una chiesa locale deve essere necessariamente in relazione con altre, se si chiude, danneggia e indebolisce se stessa. È innanzitutto la comune vocazione ricevuta da Cristo che unisce le chiese locali e le rende interdipendenti. Esse si possono incontrare sia direttamente, sia attraverso dei rappresentanti, pastori o delegati.

 
Nel Nuovo Testamento, la colletta organizzata da Paolo per i credenti di Gerusalemme esprime bene i vincoli profondi che univano le chie­se cristiane, diverse per dislocazione geografica, ma unite dalla stessa fede, dalle stesse radici e dalle stesse esperienze nell’unico Salvatore (cfr. Romani 15:26; 1 Corinzi 16:1).
Se ogni chiesa locale deve essere in comunione con altre, di che tipo devono essere le relazioni? In altre parole, qual è la forma, biblicamente sana e ordinata, da seguire? Il modo di intendere queste relazioni a carattere più ampio (locale, regionale, nazionale) costituisce l’ecclesiologia di una chiesa.
Le A.D.I. hanno scelto un metodo che ne fa una comunione presbitero-congregazionalista, un siste­ma ecclesiologico a metà strada tra quello propriamente presbiteriano e quello congregazionalista.
Ogni chiesa è governata da un Consiglio di anziani, eletto dalla comunità secondo le regole della Parola di Dio e chiamato a collaborare con il pastore nell'amministrazione della chiesa. In questo le chiese A.D.I. seguono il sistema ”congregazionalista”: ogni congregazione locale ha diritto all’autogoverno.
A scadenze prestabilite, i pastori e i conduttori delle chiese locali si radunano in convegno per eleggere gli organi collegiali, a livello regionale o interregionale e nazionale, chiamati a sovrintendere alla comunione tra le chiese. Questo è il governo di tipo “presbiteriano”, che senza togliere autonomia alle singole comunità assicura un collegamento tra loro.
Le Assemblee di Dio in Italia non sono dunque la fusione di molte chiese in una ma più comunità locali unite da vincoli di profonda comunione fraterna che collaborano nell’annuncio dell’Evangelo.
In particolare, l’Assemblea Generale delle A.D.I. si rifà a quelle assemblee o riunio­ni che erano pratiche attestate già nella chiesa antica per affrontare questioni d’interesse comune, come testimonia la Conferenza di Gerusalemme (cfr. Atti 15).
Dalla fine del II secolo questa pratica si chiamerà “sinodale”, dal greco synodos, che significa riunio­ne, convegno, assemblea. All’inizio della sua storia il sinodo era una riunione a carattere fraterno per la ricerca di comunione tra le chiese e vi partecipavano i rappresentanti delle diverse comunità, chiamati di volta in volta a esaminare uno o più aspetti riguardanti la vita delle chiese. In origine il termine equivaleva al latino concilium, il quale, però, nel corso dei secoli avrebbe finito per designare soltanto le assemblee di vescovi note con il nome di «concili ecumenici».
Il sistema sinodale fu adottato al tempo della Riforma protestante dalle chiese riformate, sebbene in tempi diversi e con molte varianti riguardo alle competenze. Com’è noto, un sinodo è all’origine dell’adesione dei Valdesi alla chiesa riformata: il sinodo di Chanforan del 1532. Tuttavia, già prima dell’ade­sione alla Riforma funzionava presso i valdesi un “Consiglio Generale”, più tardi denominato appunto “Sinodo”, dove si esaminavano le questioni d’interesse comune.