Giovani in un mondo ostile

Una società che vuole l’omologazione 

Se vivi circondato da persone senza il timore di Dio, che nominano il Suo nome invano in ogni momento, che condividono idee e abitudini peccaminose, che si fanno beffe delle cose di Dio, che mostrano poco o nessun interesse per quel che Egli dice, allora leggi la storia di Daniele e dei suoi tre amici, che scoprirono e vissero la loro fede in un mondo ostile, perché ti sarà di grande aiuto.

Più si è giovani e più si è esposti alle influenze dell’ambiente circostante, ma come credenti bisogna fare di tutto per non compromettere la propria consacrazione: “Daniele prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva” (Daniele 1:8).

 

CONDIZIONAMENTI NEGATIVI

Nel Medio Oriente era molto radicata la convinzione che il destino di una persona fosse strettamente legato al nome che portava. Fu per questo che il capo degli eunuchi, nel tentativo di integrare i giovani ebrei con l’ambiente e i costumi pagani di Babilonia, assegnò loro nomi babilonesi in sostituzione di quelli giudaici (Daniele 1:7).

Così Daniele (“Dio è il mio giudice”) divenne Baltazzar (“principe di Bel”, la forma babilonese di Baal e divinità principale di Babilonia), Anania (“il Signore è misericordioso”) divenne Sadrac (“illuminato da Rac”, dio del sole), Misael (chi è come Dio?) divenne Mesac (“chi è come Sac”, dea simile a Venere) e Azaria (il Signore è il mio aiuto) divenne Abed-Nego (“servo di Nego”, ossia Nabu, altra divinità principale dei babilonesi).

Questi cambiamenti avevano lo scopo di cancellare dalla loro memoria il ricordo di Dio e del Suo popolo. Lo stesso tentativo di spersonalizzazione, di perdita d’identità cerca di operare il mondo oggi nei confronti dei giovani credenti, con la speranza di soffocarne la testimonianza. Il comportamento di Daniele e dei suoi amici però fu esemplare, essi si mostrarono insensibili alle influenze esterne e seppero vincere quei fattori che, invece, sono motivo di crisi e caduta per molti giovani:

Il timore dell’isolamento: spesso il vero motivo di certe scelte sbagliate è proprio la paura di venire isolati dagli altri (cfr. Proverbi 29:25).

La tentazione del compromesso: in genere si cede al compromesso più per paura dei giudizi malevoli degli altri, che per il puro piacere di fare certe cose.

Il complesso della diversità: oggi più che mai, viviamo in una società che vuole l’omologazione, che tutti vestano allo stesso modo, parlino allo stesso modo e, addirittura, pensino allo stesso modo. Naturalmente, questo “modo” non è mai quello cristiano.

 

FEDELTÀ INCONDIZIONATA

Il capitolo 3 del libro di Daniele narra la costruzione dell’enorme statua d’oro (alta circa 30 metri) che il re Nabucodonosor fece costruire per autocelebrarsi e che inaugurò con una gran festa. Il cerimoniale prevedeva un atto collettivo d’adorazione della statua e, per chi trasgrediva, la morte. Nel momento in cui tutti i presenti, benché numerosissimi, si chinarono fino a terra, non fu difficile notare che tre giovani erano rimasti in piedi, si trattava dei rappresentanti della provincia di Babilonia, i tre amici di Daniele.

Nabucodonosor non voleva credere che i tre avessero rifiutato deliberatamente di offrire omaggio alla statua che lo rappresentava e si mostrò pronto a dar loro un’altra opportunità, ma Sadrac, Mesac e Abed-Nego non la ritennero necessaria e risposero senza esitazione: “O Nabucodonosor, noi non abbiamo bisogno di darti risposta su questo punto. Ma il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re. Anche se questo non accadesse, sappi, o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai fatto erigere” (Daniele 3:16-18).

Avrebbero dovuto soltanto piegare le ginocchia per qualche momento e avrebbero vissuto in pace conservando la loro posizione, ma preferirono rimanere fedeli a Dio. Ecco un fulgido esempio di “fedeltà incondizionata”, la stessa che Dio vorrebbe trovare in ogni giovane credente. Talvolta, è vero, fare la volontà di Dio getta i giovani nella fornace arroventata, proprio come gli amici di Daniele. Chi accetta di finirvi, però, deve sapere che potrà contare sempre su un aiuto speciale: nella fornace furono gettati in tre, ma si ritrovarono in quattro (Daniele 3:24-25).

Quella fornace, che sembrava la fine dei tre giovani, si rivelò il luogo di un incontro più personale e intimo con il Signore, perché Dio decise di liberarli, ma non lo fece “dalla” fornace quanto “nella” fornace, ossia nel bel mezzo della prova (cfr. 1 Pietro 1:7). Il Signore aveva deciso di incontrarli lì, nella prova, e lì avrebbero trovato una maggiore comunione con Lui, mentre l’unica cosa che perì nelle fiamme furono i loro “legami”.

 

Nella vita di un credente vi sono legami che si sciolgono solo se si accetta la prova. Giovani, bisogna imparare a esporci per il Signore, chiedergli di darci l’opportunità di mostrare la nostra fedeltà piuttosto che domandargli di vivere una vita senza difficoltà. Se Dio ci sta chiedendo di rendergli testimonianza nella fornace non rifiutiamoglielo, perché quello sarà il luogo di un incontro personale che rinnoverà e arricchirà la nostra vita, e permetterà a Dio di usarci per la Sua gloria.

 

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