La stele di Moab

Un ritrovamento significativo risalente al tempo del profeta Eliseo e di Ieoram, re d’Israele, che conferma l’accuratezza dell’episodio biblico narrato in 2 Re 3

Stele di Moab è il nome dato ad una pietra di basalto alta 115, larga 68 e spessa 35 centimetri, ritrovata incastonata in un muro tra i ruderi di Dibon, l’antica capitale di Moab.

 

Mostrata per la prima volta nel 1868 da uno sceicco ad un missionario, in seguito fu ridotta in frantumi dagli abitanti del luogo, i quali pensavano che all’interno vi potesse essere un fantomatico tesoro. Fu uno studioso francese a raccogliere pazientemente tutti i pezzi, acquistandoli dagli abitanti del luogo. Ne recuperò in totale i 3/5, ma riuscì lo stesso a ricostruire le parti mancanti grazie ad un ricalco su carta, rilevato provvidenzialmente tempo prima, quando la stele era ancora integra.

La scritta incisa sulla pietra era un’iscrizione votiva di Mesha, re di Moab, a Chemosh, dio nazionale, come ringraziamento per le vittorie concessegli su Israele. Anni prima Omri, re d’Israele, aveva sconfitto e reso tributario Moab, regno ad est del Mar Morto, e suo figlio Acab aveva mantenuto quel dominio. Alla morte di quest’ultimo, però, Moab colse l’occasione per rivendicare la propria indipendenza.

Nell’853 a.C. il secondo figlio di Acab, Ieoram, che successe al breve regno di suo fratello Acazia, mosse guerra a Mesha, ma nonostante la vittoria militare finì per ripiegare, inorridito dal sacrificio umano offerto dal suo avversario (cfr. 2 Re 1:1; 3:4-5,27). Mesha, fiero della sua impresa, fece incidere la storia di questa “vittoria” su una lastra di pietra, che poi eresse nella città di Dibon, la capitale del regno moabita. Tra le altre cose, scrisse: "Io sono Mesha […] Omri, re d’Israele oppresse a lungo Moab […] e suo figlio gli successe, ed anch’egli disse: voglio affliggere Moab […] Ma io ho trionfato su lui e sulla sua casa, ed Israele è perito per sempre […]”.

L’iscrizione è incisa con una grafia molto simile a quella israelita e una lingua, il moabitico, che è un dialetto semita strettamente imparentato con l’ebraico biblico, quello usato proprio nei libri dei Giudici, di Samuele e dei Re. Il reperto è esposto oggi a Parigi, nel museo del Louvre.

 

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