Il cilindro di Ciro Stampa

Mentre il re persiano Ciro perseguiva la sua politica illuminata, rimpatriando i prigionieri di tutte le nazionalità e ristabilendo i loro sacrari, Dio lo usava per permettere il rimpatrio del Suo popolo.

Il Cilindro di Ciro, ritrovato a Babilonia nel 1890, è un manufatto in terracotta lungo 25 cm, a forma di barile, risalente al 536 a.C. Riporta iscrizioni in carattere cuneiforme che parlano della debolezza di Nabonide, l’ultimo re di Babilonia, e di come il re persiano Ciro il Grande prese la città, nel 539 a.C., senza spargimento di sangue.

Gli studiosi sono sempre stati scettici nei confronti dell’idea che un re persiano del VI sec. a.C. fosse così illuminato politicamente da rilasciare dei prigionieri e dichiarare la libertà religiosa, come affermava nella Bibbia: “Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché si adempisse la parola del Signore pronunziata per bocca di Geremia, il Signore destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale a voce e per iscritto fece proclamare per tutto il suo regno questo editto: "Così dice Ciro, re di Persia: ’Il Signore, Dio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che si trova in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, il suo Dio sia con lui, salga a Gerusalemme, che si trova in Giuda, e costruisca la casa del Signore, Dio d’Israele, del Dio che è a Gerusalemme” (Esdra 1:1-3).

Lo scetticismo era determinato dal fatto che si riteneva poco credibile che un re persiano avesse deciso di onorare il Dio d’Israele, che per lui doveva essere soltanto una delle tante divinità straniere. La scoperta del Cilindro di Ciro, invece, è la prova inequivocabile della politica di questo re, deciso a ridare la libertà ai prigionieri stranieri, a permetterne il rimpatrio e ad incoraggiarli a adorare secondo le proprie tradizioni.

Sul cilindro si legge: “Agli abitanti di Babilonia… Io sono tornato alle città sante dall’altra sponda del Tigri, i santuari che sono stati in rovina per molto tempo, le immagini che un tempo vivevano in loro, e ho stabilito per loro dei santuari permanenti. Ho anche raccolto i loro abitanti e li ho fatti tornare alle loro case…”.

Dopo la conquista di Babilonia, dunque, Ciro si presentò alle popolazioni tenute in cattività dai babilonesi come colui che le avrebbe liberate da quei crudeli costumi, permettendone il ritorno ai paesi d’origine, riconsegnando le ricchezze e gli oggetti saccheggiati dai loro templi e adoperandosi per la restaurazione della loro religione (cfr. Esdra 1:7-11). Tra le popolazioni che usufruirono di questo editto e fecero rientro in patria vi furono anche gli Ebrei.

Del decreto di Ciro aveva profetizzato centocinquant’anni prima Isaia, menzionando più volte il nome del re persiano prima ancora che nascesse (cfr. Isaia 44:28; 45:1,13). Così, mentre Ciro perseguiva la sua politica illuminata, rilasciando i prigionieri di tutte le nazionalità e ristabilendo i loro sacrari, Dio lo usava per permettere il rimpatrio del Suo popolo e la restaurazione del culto a Gerusalemme.

Anche alcuni scavi condotti a Ur e Uruk, due antiche città della Mesopotamia meridionale, hanno restituito iscrizioni che confermano come Ciro avesse autorizzato personalmente la riparazione dei loro templi. Le affermazioni del capitolo 1 e 6 di Esdra, così come i versi conclusivi del 2 libro delle Cronache (36:22-23), quindi, sono autenticati sia da iscrizioni locali sia dagli annali di Ciro il Grande.

Un tempo la Bibbia era la sola a raccontare dell’editto del re persiano, oggi testimonianze coeve hanno cancellato ogni dubbio sulla storicità dell’evento. Il prezioso reperto si trova esposto al British Museum di Londra.